RomanButton
RomanButton
RomanButton
RomanButton
RomanButton
RomanButton
RomanButton
RomanButton
RomanButton
RomanButton
RomanButton
RomanButton
RomanButton
RomanButton
RomanButton

STRADE DELLA ROMA PAPALE

Via S. Vincenzo ed Anastasio [1] (R. II - Trevi) (da Piazza di Trevi a via della Dataria)

La via prende "questa denominazione dalla chiesa dei Santi Vincenzo ed Anastasio, ricostruita dai fondamenti con disegno di Martino Longhi il giovane (1602-1660) per volere del cardinale Giulio Mazzarini (1602-1661) che ne fu titolare. Nel 1839, unitamente al convento, fu concessa all'ordine dei Crociferi. Sono ivi, in peculiare sepolcro, riposti i precordi dei romani pontefici defunti". (Rufini - 1847)

Nel XIV secolo la chiesa era detta Santa Anastasio de Trivio, solo più tardi vi fu aggiunto S. Vincenzo.
Parrocchia del palazzo apostolico del Quirinale fino a Leone XII (Annibale Clemente della Ghenga - 1823-1829) conserva i precordi dei Pontefici fino a Leone XIII (Vincenzo Gioacchino Pecci - 1878-1903).
Un altare della chiesa è dedicato ai santi Ippolito [2] e Cassiano che era una prossima antica chiesuola detta di Sant’Ippolito de Urbe che fu demolita alla fine del XV secolo.

La facciata, che, per il numero delle colonne, fu chiamata dal popolo "il canneto di Martino Longhi", oltre lo stemma col fascio di Mazzarino, ha sul timpano un busto di donna che si crede sia in ritratto della nipote Maria Mancini.
Questa fu la passione giovanile di Luigi XIV (1643-1715), che Isaac de Benserade giudicava: "Cette petite muse, en charmes en attrait – N’en a pas une inferieure – Aussi pas une, jamais, - N’eut l’esprit et le sein formés de si bonne heure".
Quando sposò il connestabile Lorenzo Onofrio Colonna, venne in Roma al palazzo a Santi Apostoli, Pasquino la giudicò invece così: "La vacca è attaccata alla Colonna”.

Nella chiesa di S. Vincenzo, fu sepolto Bartolomeo Pinelli "er pittor de Trastevere", quasi a dargli ragione, la sua tomba non è stata più trovata e solo una piccola epigrafe oggi lo ricorda.
Egli, infatti, lo stesso giorno della sua morte, (lavorò fino all’ultima ora), dopo aver disegnato la decima tavola del Maggio Romanesco, scrisse, sul suo libretto di appunti: "Morto è Pinelli ed è sua tomba il mondo"[3].

La morte del grande e scioperato artista ebbe questo commento sul diario del principe Don Agostino Chigi, in data sabato 4 aprile del 1835: "Essendo morto il noto incisore Pinelli, uomo di qualche abilità, ma di una rozzezza e di una scioperataggine più che cinica, e non avendo lasciato di che pagare le spese del mortorio; una associazione di giovani artisti e studenti di belle arti ha supplito, facendo una colletta, per questo oggetto, ed oggi sulla sera i medesimi hanno accompagnato il suo convoglio funebre, portando alcuni di essi la bara, alla chiesa di S. Vincenzo e Anastasio a Trevi”.

Infatti, al tramonto, il corpo del Pinelli, chiuso nella bara, sulla quale erano state poste le incisioni della “Divina Commedia”, fra due fitte ali di popolo, che volle rendergli onore solenne, fu trasportato nella chiesa.
Il parroco Iacopini, dopo che una breve memoria intorno al defunto era stata posta in un tubo di piombo e racchiusa nella cassa, redasse quest’atto di morte: "Die 1 aprilis 1835 Bartolomeus Pinelli romanus viduus Mariangiola Gatti, aetatis suae annorum circiter quinquagintaquatuor, sacramento confessionis tantum munitus ex repentino morbo correptus, hodie circa horam decimam nonam in Com. Sanctae Matris Ecclesiae obiit. Eiusdem corpus ad hanc Ecclesiam delatum, ibique post consuetas exequias tumulatus solemniter, cum assistentia omnium discipulorum Academiae Pontificae S. Lucae, cum fuerit defunctus excellentissimus incisor, quo primus nec fuit nec alter erit”.

Ma Gioacchino Belli riportando certo i commenti e i pensieri del popolino minuto e delle beghine ficcanaso, scriveva:

"La Morte der sor Meo

Sì, quello che portava li capelli
giù p'er grugno e la mosca ar barbozzale,
er pittor de Trestevere, Pinelli,
è crepato pe causa d’un bucale [4].

V’abbasti questo, ch’er dottor Mucchielli,
vista ch’ebbe la merda in ner pitale,
cominciò a storce e a masticalla male,
eppoi disse: “Intimate li Fratelli” [5].

Che aveva da lassà? Pe fà bisboccia
ner Gabbionaccio de padron Torrone,
è morto co tre pavoli in zaccoccia.

E l'anima? Era già scommunicato,
ha chiuso l’occhi senza confessione...
Cosa ne dite? Se sarà sarvato?

____________________

[1]           Ai numeri 22-28 casa del XVI secolo; e ai numeri 30-31 una del XIII; all’angolo con via dell’Umiltà, altra del XV secolo.

[2] )            Vago ricordo del martirio del Santo è la chiesetta di San Ippolito, all’isola Sacra (Libanus Almae Veneris o Insula Sacra).

[3] )            Nella seconda cappella a destra, sotto una grande lastra di marmo, è sepolta col marito quella principessa Zenaide Alexandrovna Wolkonsky, amica dello zar Alessandro III, stabilitasi in Roma dopo la sua conversione al cattolicesimo e proprietaria dell'omonima villa fra San Giovanni e Porta Maggiore. Villa che acquistò dall’Altieri e che è adesso dell’ambasciata inglese dopo essere stata sede di quella di Germania.

[4] )            La sera prima aveva pagato una cena ai suoi amici all’Osteria del Gabbione nei pressi della fontana di Trevi, dove passava la maggior parte delle sue giornate.

[5] )            La Confraternita per il trasporto funebre.

DSC_4381

Lapidi, Edicole e Chiese lungo la via:

- Via di San Vincenzo

Blutop